Gli oratori sono presidi di speranza (di Christian Bison su Avvenire)
Distanziamento sociale, contagio, igienizzazione, indossare la mascherina, evitare gli assembramenti: queste le parole che ricorrono nella nostra quotidianità e allora, in una realtà come l’oratorio, dove relazioni, vicinanza, socializzazione, gioco di gruppo, abbraccio e convivialità sono caratteristiche essenziali, è quantomeno azzardato parlare di riapertura dei nostri circoli, patronati, oratori. Riaprire e vivere l’oratorio oggi vuol dire certamente mettersi in discussione e correre il rischio di essere “contagiati” o di contagiare, ma, qual è l’altro grande pericolo? Forse quello di perdere uno degli elementi oratoriali più importanti cioè di essere “presidi di speranza”, di discussione, di confronto aperto, di crescita umana e spirituale gioiosa e creativa. ”Mettere in discussione sé stessi è il modo migliore per capire gli altri – diceva un filosofo – e allora questo è anche il momento storico per vivere anche la nostra fede e il nostro servizio, comprendendone il significato profondo e rivoluzionario, incarnandole anche nel tempo del Covid-19, magari attraverso iniziative e progetti che ripartono e rinascono proprio nei nostri circoli e patronati. Mai come oggi comprendiamo che la vita è qualcosa di incerto, mutabile, rischioso: di fronte a tanti problemi (economia, sanità, lavoro) perché preoccuparci anche degli oratori? Forse perché queste realtà sono “laboratori di talenti”, ci aiutano a capire cosa vuol dire far parte di un gruppo, una comunità, una parrocchia, un paese, anche attraverso una partita a calcetto balilla, sono un ponte tra generazioni diverse, un crocevia informale di bisogni e desideri. È bello ricordare che la parola «oratorio» deriva da “orare”, pregare, ma rimanda ulteriormente anche a “bocca”, e, per estensione, “linguaggio”, cioè una parola trasmessa da persona a persona. E allora riapriamo i nostri oratori anche per vivere occasioni di parola e di preghiera, di domande e risposte, di nuovi obiettivi da raggiungere, rinnovando un mondo che deve ritornare al più presto in armonia con la natura, con tutti gli esseri viventi che la abitano e con uomini e donne di ogni latitudine. Riapriamo gli oratori anche perché diventino sempre più luoghi in cui ancora ci si ascolta e dove si possa capire qual è la strada migliore per raggiungere la nostra felicità. Se questa emergenza ci sta insegnando qualcosa è che dobbiamo prenderci sempre più cura e attenzione gli uni degli altri: siamo tutti figli di “una grande famiglia”, l’umanità, che ci accoglierà anche domani se riusciremo a rispettarla e continuerà ancora a meravigliarci se saremo in grado di proteggerla.