«Giovani, quanta fatica per diventare adulti»
Intervista a mons. Paolo Giulietti su Avvenire (di Stefano Di Battista)
«L’ingresso nell’età adulta si è talmente dilatato che ormai possiamo parlare d’una condizione giovanile patologica». La diagnosi è dell’arcivescovo di Lucca, Paolo Giulietti, per sei anni (2001-07) direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Proprio guardando all’evoluzione che nel frattempo si è attuata fa notare come «allora la tecnologia interattiva fosse quasi sconosciuta, comunque non così diffusa, per cui anche l’impatto sulle nuove generazioni era diverso. Tutto ciò se da un lato ha reso più precoci comportamenti che un tempo appartenevano all’adolescenza, per altro ha spostato l’ingresso nell’età adulta. La patologia di cui parlo deriva dal fatto che mentre prima una dilazione era funzionale a una società complessa che richiedeva tempi più lunghi per la formazione, oggi invece si è fatta disfunzionale. Come educatori l’anticipazione ci mette in gravi difficoltà perché alcuni fenomeni sono ormai arrivati ai bambini, i quali non hanno strumenti per gestire gli aspetti cognitivi, affettivi e relazionali che quella realtà comporta. Nel contempo segmenti importanti del mondo giovanile vivono l’autonomia, il matrimonio, la paternità come delle chimere: non arrivano mai. Su questa mancanza di progettualità dovremmo tutti riflettere, senza scordare interventi adeguati per proteggere le fasce dei piccoli». Il discorso cade allora sulle cosiddette Generazioni Y e Z, al centro del progetto Terzo sapere sviluppato da Anspi fra il luglio 2018 e quest’anno. «Tra i giovani adulti mi sembra prevalgano il disincanto e un po’ di cinismo. Abbandonati gli ideali è una generazione che cerca di sopravvivere, di farsi largo in un mondo del lavoro sempre più avaro di collocazioni stabili e che si porta dietro una precarietà in tante dimensioni: affettiva, relazionale, abitativa. Una fascia di giovani lasciata a sé stessa e che combatte una battaglia per stabilire il proprio diritto di stare al mondo. Tra gli adolescenti invece vedo tensioni ideali che ancora li attraversano: una terra di sogni e di speranze a volte non adeguatamente colte e accompagnate dagli adulti». Ma come evitare che pure gli adolescenti si rassegnino a una vita che mette a margine le idealità? «Mi viene in mente la sequenza di Giovanni Paolo II a Tor Vergata (Giornata mondiale della gioventù 2000, ndr): non vi rassegnerete. Sul tema dell’ambiente per esempio, i ragazzi vanno in piazza per chiedere azioni ai grandi della Terra. Questa domanda ha però bisogno di tradursi in stili di vita e prospettive di futuro che diano a tutti l’opportunità di fare qualcosa. Non basta che gli altri facciano: i valori chiedono che io sia coerente. Allora serve qualcuno che li sappia accompagnare, affinché i principi siano davvero praticabili e diventino parte d’un concreto progetto di vita». In questo percorso molto può l’oratorio «un ambiente adatto a fare esperienze. Quando si parla di laboratorio se ne descrive l’essenza più vera, che poi appartiene anche agli inizi. San Giovanni Bosco lo pensò come strumento di trasfor-mazione sociale, non soltanto come ricreatorio. Lo stesso diceva don Lorenzo Milani: i giovani non hanno bisogno di essere intrattenuti, ci sono già altri che lo fanno; necessitano invece di esperienze, magari con la possibilità di sbagliare. L’oratorio è quel posto, dotato però d’una rete di salvataggio per cui, se cadi, c’è chi ti raccoglie». Un luogo di ecologia integrale intesa come «capacità di relazionarsi col Creato in maniera non distruttiva. Perché quando la casa è custodita ed efficiente anche la qualità della vita migliora. L’ecologia integrale non riguarda solo il rispetto dell’ambiente ma anche quello delle persone e delle culture». L’arcivescovo Giulietti: molti vivono come chimere l’autonomia, il matrimonio, la paternità. L’oratorio può essere il luogo adatto per fare esperienze, con la possibilità di sbagliare. Senza rassegnarsi, come ha raccomandato Giovanni Paolo II